Impasto per la pizza: tradizione e innovazione

Impasto per la pizza: tradizione e innovazione

Acqua, farina, lievito, tempo e le sapienti mani di un pizzaiolo esperto. In teoria per preparare la base del piatto italiano più celebre e celebrato al mondo non serve altro. Eppure l’arte del pizzaiolo si rinnova, sia per tecniche che per ingredienti, aprendosi a un panorama infinito di possibilità.

Base “neutra” ma con sempre più personalità!

A lungo trascurata rispetto alla farcitura, l’impasto per la pizza è molto più che una semplice base neutra pensata per accogliere gli ingredienti più disparati. Piuttosto rappresenta una preparazione “nobile”, delicata e meritevole di attenzione. 

Anche per questo dal dicembre 2022 esiste uno specifico disciplinare internazionale (stabilito dall’Associazione Verace Pizza Napoletana) che stabilisce alcuni criteri imprescindibili per quanto riguarda aspetti come la durata minima della lievitazione, la tecnica di stesura che prevede il cosiddetto “schiaffo a mano” e la realizzazione di un cornicione dallo spessore rigorosamente di 1-2 cm. 

Regole inderogabili anche per quanto riguarda le modalità di farcitura (con ingredienti di provenienza esclusivamente nazionale) e di cottura (necessariamente in forno a legna a una temperatura della platea a 485°C circa e della volta a 430°C circa).

Impasti sempre più elaborati…

Esistono differenti tipologie di impasto per la pizza e la principale distinzione riguarda quella tra impasti diretti e impasti indiretti. 

I primi sono i più antichi e consistono in una preparazione in cui acqua, sale, lievito, farina e olio (o malto) vengono messi tutti in un unico processo; i secondi invece sono più moderni e prevedono che ogni elemento venga inserito durante una fase specifica di lavorazione dell’impasto. Solo nel secondo caso è possibile sfruttare i cosiddetti “pre fermenti” per ottimizzare la maturazione e ottenere una pizza più fragrante, alveolata e digeribile. 

… e ingredienti sempre più “esotici”

Fatta salva questa distinzione di base fondamentale, non ci si può non soffermare sul variegato e affascinante panorama degli impasti per pizza più elaborati (come quelli di farina integrale, di farro o di preparati con mix di farine ai cereali) o quelli a base di ingredienti “insoliti” come la farina di kamut o il carbone vegetale. 

Come si legge in questo articolo pubblicato su www.pisatoday.it, ogni impasto ha delle caratteristiche peculiari, che ne influenzano la lavorabilità e che condizionano il risultato finale. 

Per esempio la farina integrale (mai usata pura ma sempre mischiata con quella di tipo 0 e 00) rende l’impasto più difficile da lavorare a causa della grande quantità di fibre che non permette al glutine di legare con la stessa facilità; gli impasti a base di kamut (o meglio di grano Khorasan, detto anche grano turanicum o frumento orientale) permettono di ottenere una pizza più ricca di selenio, zinco, magnesio e vitamina E, mentre quelli che contengono oltre al grano tenero una percentuale di farina ai cereali (come orzo, segale, farro e avena) e talvolta semi oleosi (come lino, miglio e girasole) conferisce alla pizza un particolare sapore rustico. 

L’impasto a base di farro risulta essere il meno calorico, ricco di proteine e vitamine del gruppo B, nonché indicato per chi ha problemi di digestione.

Dalla cucina all’avanguardia

A destare curiosità e scalpore negli ultimi anni sono arrivati nei forni d’Italia (e non solo) anche gli impasti per pizza con carbone vegetale (dal colore scuro caratteristico e dalle celebrate proprietà digestive, ma che non altera in alcun modo il sapore e la fragranza della base) e quello, più controverso, con farina di canapa (ricco di proteine, aminoacidi essenziali, elementi antiossidanti e con un gusto che ricorda la nocciola). 

Infine, meno conosciuta ma sempre più oggetto di interesse è la pizza a base di aloe. Una pianta che è considerata un vero e proprio alleato naturale per la salute (vanta proprietà depurative, antinfiammatorie, lenitive e cicatrizzanti, gastroprotettive e lassative) e che, inserita nella pizza insieme alle farine di tipo 1, garantirebbe maggiore leggerezza e digeribilità alla pasta, arricchendola di enzimi, sali minerali, aminoacidi e fosfolipidi, senza alterarne il gusto né la croccantezza del cornicione. L’unico svantaggio? La lievitazione deve durare almeno 30 ore.